IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA Ha pronunciato la seguente ordinanza in materia di misure alterna- tive alla detenzione nel procedimento instaurato ai sensi degli artt. 48 e 50 della legge n. 354/1975 e successive modifiche, per l'esame dell'istanza di ammissione al regime di semiliberta' nei confronti di Costa Giovanni nato il 26 dicembre 1936 a Nuoro, ristretto nella casa circondariale di Nuoro in espiazione della pena di anni 28 di reclusione, inflittagli con sentenza emessa in data 26 gennaio 1985 della Corte di assise di appello di Cagliari per il reato di cui all'art. 630 del c.p.; Rilevato che il suddetto, regolarmente citato a comparire dinanzi a questo tribunale, non e' comparso all'odierna udienza; Rilevato che il p.m. ed il difensore hanno concluso come in atti; FATTO E DIRITTO Nel corso dell'odierna udienza la difesa di Costa Giovanni ha eccepito l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4- bis, primo comma, della legge n. 354/1975, cosi' come modificato dall'art. 15 del d.-l. n. 306/1992, convertito con modificazioni nella legge n. 356/1992, sulla base delle motivazioni che di seguito brevemente si riportano. 1) Assunto contrasto con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione: "Il principio di irretroattivita', nel caso di specie, ne risulterebbe violato in quanto il Costa, fin dal 16 ottobre 1991 aveva maturato i termini per poter fruire dell'ammissione al regime di semiliberta'. Oltre all'avvenuta espiazione di oltre meta' della pena, il Costa risultava infatti aver gia' intrapreso il processo rieducativo (concretantesi a quel tempo con la regolare fruizione di permessi premio) di cui la semiliberta' appariva la naturale evoluzione. Sin da quella data il Costa vantava il diritto a che, verificandosi le condizioni poste dalla norma sostanziale, il protrarsi della realizzazione della pretesa punitiva venisse riesaminato al fine di accertare se la quantita' di pena espiata avesse o meno assolto positivamente al fine rieducativo. Con la modificazione dell'art. 4- bis o.p., avvenuta successivamente alla data del 16 ottobre 1991, questo riesame veniva assolutamente precluso, non trovandosi il Costa nella condizione di poter collaborare con la giustizia ai sensi dell'art. 58- ter o.p.". 2) Assunto contrasto con l'art. 27, primo comma, della Costituzione: "Con il sancire che la responsabilita' penale e' personale la Costituzione ha statuito non solo la personalita' dell'illecito penale, ma anche la personalita' della sanzione penale, nel senso che la pena deve essere adeguata sia alla gravita' del fatto che alle condizioni personali dell'agente. Detto principio e' da ritenersi operante anche nella fase esecutiva, in cui la sanzione trova effettiva applicazione. Con l'applicazione dell'art. 4-bis, cosi' come modificato, stante il dichiarato intento del legislatore di scoraggiare la reiterazione di condotte criminose partcolarmente gravi, il condannato finisce per diventare uno strumento utilizzato dal legisaltore per il raggiungimento di finalita' di prevenzione generale, cosi risultando irrimediabilmente violato il principio di colpevolezza". 3) Assunto contrasto con l'art. 3 della Costituzione: "L'applicazione retroattiva dell'art. 4- bis rende possibile il concretarsi di un trattamento disuguale tra quei soggetti che, all'entrata in vigore della nuova norma, erano gia' stati ammessi a fruire delle misure alternative alla detenzione e quei soggetti, anche concorrenti nel medesimo reato (caso del Costa Giovanni), che, alla data di entrata in vigore del d.-l. n. 306/1992, pur avendo scontato oltre meta' della pena e trovandosi nelle condizioni per essere ammessi alla semiliberta', ancora non ne avessero fatto richiesta, o nei cui confronti, pendente il procedimento di sorveglianza, non fosse ancora intervenuta alcuna decisione. Il ritardo nella fissazione dell'udienza di discussione ha precluso, prescindendosi da qualsiasi considerazione sul merito, l'ammissione al beneficio richiesto". Queste le motivazioni, seppur qui richiamate in forma riassuntiva, addotte dalla difesa di Costa Giovanni. In relazione a tali questioni, il tribunale di sorveglianza. O S S E R V A Questo collegio, pur riconoscendo la non manifesta infondatezza della questione di illegittimita' Costituzionale di cui al punto 2 della memoria presentata dalla difesa di Costa Giovanni, ritiene superfluo riproporre all'attenzione della Corte tale censura. L'eccepita illegittimita' costituzionale dell'art. 4- bis ord. pen., in riferimento all'art. 27, primo comma, della Costituzione, cosi' come sollevata dalla difesa del Costa Giovani e' infatti gia' stata sollevata (se non sotto il profilo "formale" certamente soto quello "sostanziale") dal Tribunale di sorveglianza di Firenze con ordinanze nn. 550 e 552 del 1993. Puntuale ed esauriente risposta all'eccezione sollevata puo' essere letta da pag. 26 a pag. 28 (punti 9.10.11) della sentenza della Corte costituzionale in data 11 giugno 1993, n. 306, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 29 del 14 luglio 1993. Qualora si dovesse ritenere, cosa che non pare a questo tribunale, che le eccezioni oggi esposte al punto 2) della memoria difensiva abbiano una valenza autonoma e pertanto non possano essere dichiarate mera riproposizione di una eccezione gia' valutata dalla Corte, appare necessario richiamare brevemente in questa sede l'ordinanza in data 6 aprile 1993 con la quale il tribunale di sorveglianza di L'Aquila sollevava analoga eccezione di illegittimita' cosituzionale. Attraverso la proposizione di tale eccezione il tribunale di sorveglianza di L'Aquila ha gia' sollevato e portato all'attenzione della Consulta le motivazioni di cui al punto 2) della memoria difensiva del Costa Giovanni, rendendo in tal modo superflua una ulteriore riproposizione, negli stessi termini, dell'eccezione di costituzionalita'. Diversa valenza hanno viceversa le censure di cui ai punti 1) 3) della memoria in oggetto, prospettive che questo tribunale ritiene di dover trattare unitariamente stante la stretta connessione ed interdipendenza delle motivazioni addotte. In via principale, appare a questo tribunale fondata l'eccezione di illegittimia' costituzionale cosi' come prospettata dalla difesa del Costa in relazione dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione, seppur rendendosi necessarie alcune precisazioni. Presupposto necessario, che questo tribunale sente di condividere, riguarda la posizione, non priva peraltro di validi sostegni dottrinali, secondo la quale il principio della irretroattivita' della legge penale meno favorevole al reo concerne anche le disposizioni di natura sostanziale relative alla modalita' di esecuzione della pena ed in particolare alle misure alternative alla detenzione, che in quanto incidenti sulla "qualita'" e "quantita' in concreto" della pena inflitta, rivestono indubbiamente natura penale. Ora, se questo e' vero, appare di tutta evidenza l'assunta illegittimita' costituzionale dell'art. 4- bis o.p. e delle sue recenti modifiche, in relazione al caso di Costa Giovanni. Costa Giovanni veniva condannato, con sentenza irrevocabile in data 23 gennaio 1986, per il delitto di cui all'art. 630 del c.p. commesso in data 3 novembre 1978. In base alle norme dell'ordinamento penitenziario, e segnatamente per effetto delle modificazioni introdotte dalla legge n. 663/1986, veniva resa possibile, anche per i condannati per il reato di cui all'art. 630 del c.p., l'ammissione al regime di semiliberta', nella ricorrenza di tutti i presupposti sostanziali previsti dalla stessa legge. Nessun dubbio che di questa modifica legislativa si sarebbe trovato a beneficiare anche il Costa, sebbene condannato con sentenza definitiva in data anteriore alla entrata in vigore della legge n. 663/1986. In data 16 ottobre 1991 il Costa Giovanni risultava aver espiato meta' della pena inflitta, primo e necessario requisito sostanziale per poter fruire del regime della semiliberta'. Nelle medesime condizioni del Costa si erano venuti a trovare i soggetti che con il Costa avevano compiuto il reato de quo; tali soggetti, vuoi per il fatto di aver presentato l'istanza di ammissione al regime di semiliberta' avanti un Tribunale di Sorveglianza con ruoli di udienza meno congestionati, vuoi comunque per l'avvenuta rapida fissazione dell'udienza, verificata preliminarmente l'esistenza dei requisiti sostanziali richiesti dalla legge, venivano tutti ammessi al beneficio della semiliberta' (da qui una delle censure di illegittimita' costituzionale per violazione dell'art. 3 della Costituzione formulate dalla difesa del Costa). In data 6 maggio 1992 il Costa presentava regolare istanza di ammissione al regime di semiliberta' avanti il tribunale di sorveglianza di Sassari, allegando a tale istanza la necessaria documentazione ai fini di un accoglimento nel merito. Con l'emanazione del d.-l. 8 giugno 1992, n. 306, successivamente convertito in legge n. 356/1992, il legislatore introduceva un ulteriore requisito ai fini della concessione dei benefici di cui all'art. 4- bis o.p., consistente nella "collaborazione con la giustizia" da parte del detenuto istante. Il Costa, non rientrando nelle ipotesi di collaboratore della giustizia di cui all'art 58- ter o.p., si vedeva pertanto preclusa la possibilita' di fruire del beneficio richiesto. La possibilita' di ottenere il riconoscimento di "collaboratore della giustizia" ai sensi dell'art. 58- ter o.p., presuppone, nella quasi totalita' delle ipotesi da cui questa definizione deriva (comprese le ipotesi attenuate della "collaborazione oggettivamente irrilevante") da parte del reo una scelta tra due diverse opzioni; determinarsi a prestare, seppur con diverse modalita', una collaborazione con l'autorita' giudiziaria al fine di far luce su un determinato episodio delittuoso, attenuarne le conseguenze o ridurne gli effetti o, viceversa, mantenere una posizione non collaborativa sotto tutti questi aspetti. E' lasciato pertanto nella completa disponibilita' del soggetto/rzeo optare per una qualsiasi forma di collaborazione (e porsi quindi nella condizione per poter fruire dei benefici previsti dell'ordinamento penitenziario) o mantenere un comportamento opposto, con le conseguenze, in termini di trattamento sanzionatorio e non, che da cio' derivano. La richiesta di un comportamento collaborativo, formulata successivamente alla commissione del reato ed alla fase processuale, e l'estensione retroattiva degli effetti anche nei confronti di persone gia' condannate in via definitiva, significa di fatto precludere tale facolta' di scelta. Ne' vale ad attenuare la sostanziale illegittimita' di tale disposizione il rilievo secondo cui la collaborazione puo' essere prestata in qualunque momento, anche cioe' successivamente alla chiusura delle indagini od alle conclusione della fase dibattimentale. Se tale obiezione puo' essere in alcuni casi accettabile, non si puo' d'altra parte escluderne la sua potenziale erroneita'. Questo appare di tutta evidenza nel caso di Costa Giovanni; il Costa, in fase dibattimentale, ha optato per un atteggiamento di sostanziale rifiuto a qualunque forma di collaborazione. Diverso atteggiamento viceversa venne tenuto da alcuni dei correi, i quali prestarono una attivita' collaborativa con gli organi inquirenti e contribuirono pertanto a farne luce completa sulle dinamiche e sulle modalita' di compimento del reato, determinando le precise responsabilita' dei compartecipi al reato e facendo luce su tutti gli aspetti del sequestro di persona commesso. In tal modo al Costa veniva sostanzialmente preclusa qualunque possibilita' di collaborazione futura (il Costa peraltro, bisogna darne atto, aveva rifiutato di mantenere una condotta collaborativa), non esistendo piu' alcun elemento residuo di incertezza su cui far luce. La situazione determinatasi nel corso del processo risultava perfettamente a conoscenza del Costa il quale si era liberatamente determinato ad un tale comportamento, conscio del fatto che cio' avrebbe comportato un trattamento sanzionatorio meno favorevole rispetto ai correi ritenuti collaboratori. Non poteva invece il Costa immaginare che tale suo comportamento si sarebbe riflesso anche sulle modalita' di espiazione in concreto della pena. Subita una pena piu' grave a causa del proprio atteggiamento non collaborativo (cosa peraltro cui il Costa si era liberatamente e coscentemente determinato), lo stesso Costa avrebbe avuto il diritto di aspettarsi un trattamento uguale ai compartecipi se non per l'entita' della pena inflitta quantomeno per le modalita' della sua esecuzione; nulla infatti faceva presagire una evoluzione differente nell'iter di esecuzione delle pene inflitte e nulla pertanto imponeva al Costa di formulare diverse ed ulteriori valutazioni (in quella fase del procedimento probabilmente ancora possiili) sul proprio comportamento processuale. Cosi', di fatto, non e' stato. Le modifiche del giugno 1992 hanno, in buona sostanza, sottoposto a nuova ed ulteriore valutazione il comportamento tenuto dal Costa durante il dispiegarsi della condotta criminosa e soprattutto nel corso della fase processuale (fase nella quale il Costa avrebbe ancora potuto deteminarsi a collaborare, quantomeno fornendo ulteriori conferme alle affermazioni degli altri "pentiti") ed hanno di fatto nuovamente determinato l'entita' della pena inflitta nella forma delle sue modalita' di esecuzione. Appaiono di tutta evidenza, pertanto, le modifiche sostanziali alla sanzione penale (nella specie, alla sua successiva fase esecutiva) introdotte, in maniera retroattiva, dall'art. 15 del d.-l. n. 306/1992 cosi' come convertito nella legge n. 356/1992. Il Costa pertanto non e' stato posto in condizioni di valutare e conoscere pienamente le conseguenze del proprio comportamento processuale, se non sotto il profilo limitato dell'entita' della pena che gli sarebbe stata inflitta; relativamente alle modalita' di esecuzione della stessa, comprese le disposizioni di natura sostanziale relative alle misure alternative, il comportamento del Costa dovrebbe essere valutato sulla scorta delle modifiche successivamente introdotte del d.-l. n. 306/1992. A tal proposito appare necessario a questo tribunale richiamare il concetto, affermato pealtro anche dalla Corte di cassazione, secondo cui le disposizioni, che pongono limitazioni all'applicazione di norme di favore per i condannati in relazione a determinate figure di reato, devono ritenersi di diritto sostanziale speciale e contra reum, riconoscendo pertanto, anche in relazione al regime della pena, la valenza del principio della irretroattivita' della norma meno favorevole. Ritenuto pertanto che appare di dubbia costituzionalita' - in relazione agli artt. 3, secondo comma, e 25, secondo comma, della Costituzione - l'art. 4- bis, primo comma, della legge n. 354/1975 cosi' come successivamente modificato, e che il tribunale ritiene rilevante la questione poiche' la norma che si sottopone al vaglio di costituzionalita' impedisce di esaminare nel merito l'istanza.